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Il telebano

A me è capitato. Di conoscere un paio di talebani. In verità erano italianissimi. E la targhetta "talebano" gliela appiccicai io. E' per questo che so di cosa parlo. E posso dirvelo papale papale. Non è una bella cosa. Insomma. Praticamente un insulto.

E dunque. Non può essere una bella cosa che il presidente del consiglio dia del talebano alla magistratura. E non è una bella cosa il senso di rassegnazione che si diffonde come un'onda nera nei nostri cuori. Che ha sparato oggi? Dacci il nostro insulto quotidiano.

No buono. No. Non dimenticate che esiste ancora il diritto di scandalizzarsi. Esiste ancora la rivolta morale. Non è stata abolita la ricerca del giusto e del bene per la collettività. Tutto sta a capirsi. Perchè questa disperata guerra mondiale di un plurindagato contro le leggi dello stato non porta neanche una briciolina nelle nostre tasche.

E forse (forse) bisognerebbe escogitare qualcosa di diverso dai messaggi un po' retorici alla «volemose bene» che Napolitano invia diqquà e dillà. Forse sarebbe bene che, chi può, obbligasse anche il grande assediato a rispettare i ruoli istituzionali e le leggi dello stato, almeno quelle poche che ancora non sono state stuprate da un lodo.

Comunque. Dopo aver sdoganato i fascisti, i leghisti ed i papi, adesso il berlusca ha sdoganato pure i talebani. Ora ne possiamo parlare. Ora possiamo usarli liberamente per appenderci il vicino di casa, il parcheggiatore incapace, quello che non rispetta la fila alle Poste. Oltre, naturalmente, i magistrati.

Se dunque i talebani stanno qui, tra di noi. Dovremo trovare un altro modo, d'ora in avanti, per indicare quelli che in Afghanistan hanno trucidato molti soldati italiani.

Ma niente paura. Tanto, in fondo, si tratta solo di parole.

PS= Nella foto, un gruppo di magistrati milanesi nei pressi del tribunale di Milano.

[Ave]

Commenti

  1. A proposito del diritto di scandalizzarsi:
    «Solo il tiranno platonico può compiere pubblicamente anche quegli atti immondi che il privato cittadino o compie di nascosto o avendoli repressi si abbandona a compierli soltanto in sogno». E ciò perché solo sotto la tirannide il titolare del potere può sottrarsi al «criterio della pubblicità per distinguere il giusto dall'ingiusto, il lecito dall'illecito»; solo per il tiranno «pubblico e privato coincidono in quanto gli affari dello Stato sono i suoi affari e viceversa». In democrazia, invece, l'uomo di potere che inclinasse a simili comportamenti, si esporrebbe inevitabilmente allo «scandalo», che è, appunto, quel «profondo turbamento dell'opinione pubblica» che si genera nel momento in cui viene reso pubblico ciò che egli ha commesso sotto la copertura del segreto perché sarebbe stato del tutto inaccettabile se compiuto alla luce del sole.
    Questo brano non è stato scritto oggi, ma nel 1980 da Norberto Bobbio, in un saggio sul «potere invisibile» destinato a entrare a far parte di uno dei suoi testi più celebri: Il futuro della democrazia.
    (da Marco Revelli, La Stampa, 27-02-2010)

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  2. Grazie a Carlo della perla che ha postato. Molto bello. Ma anche molto terribile. La prova evidente che era tutto, purtroppo, ampiamente prevedibile.

    Ma nulla siamo stati capaci di fare per impedire la tragedia.

    Ancora una volta.

    [Ave]

    RispondiElimina
  3. "Tirannide indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo."
    Vittorio Alfieri, 1777

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