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Generazione Norman. Uno spazio per ricordare che un futuro c'è

Qualche mese fa, a Palermo, accadde che un giovane e brillante ricercatore universitario di 27 anni decise di gettarsi da una finestra. Perchè eccessiva fu la consapevolezza che questo paese gli stava sottraendo, giorno dopo giorno, la speranza. Questo ragazzo si chiamava Norman Zarcone, ed in questo blog se ne parlò in questo articolo. In seguito a quel piccolo ricordo il padre del giovane, Claudio, inviò un pensiero che ospitai molto volentieri, e che potete trovare qui. Ecco. A distanza di mesi, qualche giorno fa il signor Claudio Zarcone ha avuto la gentilezza di inviarmi notizia di un evento importante. L'università di Palermo ha deciso di inaugurare, questo pomeriggio, lo Spazio Generazione Norman. Quale sia lo scopo lo riprendo dalla nota della stessa università: «...dedicare uno spazio dell’Ateneo a Norman Zarcone, il dottorando della facoltà di Lettere che si uccise a settembre dell’anno scorso. Nello spazio, grande crocevia all’interno del Polididattico di viale delle Scienze dove passano ogni giorno centinaia di studenti di diverse facoltà, sarà scoperta una targa con la scritta: “Generazione Norman, in memoria di Norman Zarcone”, per ricordare – insieme con il ragazzo – tutte le vittime di una gioventù tormentata che si confronta con una società difficile e dall’incerto futuro».
Io ho provato a chiedere al padre di Norman un pensiero, un contributo sul senso della targa che sarà scoperta questo pomeriggio. E, nonostante la delicatezza della situazione, Claudio Zarcone ha accettato. E mi ha inviato un messaggio molto intenso che vi propongo integralmente.
Lo credo un modo bellissimo di ricordare Norman Zarcone, anche da tanto lontano.



Vi sono due verità incondizionate: la libertà di pensare e la libertà di morire, che poi è la stessa della libertà di vivere
NORMAN ZARCONE

Mio figlio era un idealista, un filosofo, un musicista, un giornalista, un bagnino d'estate che piantava ombrelloni a 25 euro al giorno, quantunque avesse due lauree con lode in Filosofia della Conoscenza e della Comunicazione e in Filosofia e Storia delle Idee, oltre al dottorato in Filosofia del Linguaggio quasi concluso (era al terzo e ultimo anno).

Lui ha voluto gridare il suo sordo "no" a quel microsistema di potere che in astratto chiamiamo delle baronie universitarie, laddove si avvelenano le coscienze dei giovani e si istigano gli stessi a genuflettersi.

Il suo essere idealista lo ha portato a questo gesto drammatico, sul quale non si dovrebbe fare nessuna considerazione, bensì rispettare il segreto e il mistero di quel gesto medesimo, che altro non è che il mistero della libertà. E Norman non era depresso, anzi, lo chiamavano "Zuzzurellone". Il suo purtroppo, è stato un gesto drammatico e consapevole, come lo fu quello di Jan Palach, lo studente di filosofia che si diede fuco a Praga per protestare contro l'invasione dei carri armati sovietici nel 1968.

Ogni suicidio è diverso da un altro, le motivazioni sono diverse, i contesti culturali sono diversi, le modalità sono diverse. Ridurre il suicidio a “mal di vivere”, a mio avviso, non ci spiegherà perché molti giovani in questo millennio scelgono tale via lacerante, per se stessi e per le loro famiglie.

Lo scrittore Hugo von Hofmanstal addirittura morì di apoplessia durante il funerale del proprio figlio, morto suicida.

Tanti scrittori e pensatori illustri sono morti con la propria mano, gente che malgrado tutto aveva dei resoconti culturali fortissimi con i quali confrontarsi e attraverso i quali evitare di autoinfliggersi la morte.

Cito un passo di Camus tratto dal saggio Il mito di Sisifo, il quale recita: «Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta è rispondere al quesito fondamentale della filosofia».

Empedocle – racconta il mito – si gettò nell’Etna per amore di conoscenza, Tito Lucrezio Caro morì suicida, Seneca (condannato da Nerone) morì suicida.

Georg Trakl, Otto Weininger, Wladimir Majakovskij , Carlo Michelstaedter, Drieu La Rochelle, Yukio Mishima morirono suicidi. E non stiamo parlando di giovani invaghiti dal “velinismo” televisivo o infatuati dal mito di Kurt Cobain, il leader dei “Nirvana”, anch’egli morto suicida.

Stiamo parlando di fior di pensatori e letterati, che ciascuno, per vie diverse, per motivazioni diverse, volle uscire fuori dal mondo per sconfiggere gli eventi con un terribile atto di decisione.

Egesia di Cirene, filosofo di scuola greca vissuto intorno al IV/III secolo a.C. si rese conto che la felicità, per quanto anelata non fosse mai raggiungibile. Siccome “l’anima soffre e si turba col corpo e la fortuna impedisce di conseguire ciò che si spera”, pare che per lui l’unico tentativo di cercare la felicità fosse la morte. “La vita è un bene per lo sciocco, è indifferente per il sapiente” diceva, nello scritto “Colui che si lascia morire di fame”, conosciuto anche come “Il suicida”.

Per tale ragione venne definito “peisithanatos”, ossia “persuasore di morte” (o “avvocato della morte”).

Il filosofo della mente statunitense Thomas Nagel, nel 1974 scrisse un articolo/saggio che ancora oggi fa scuola: «Che cosa si prova ad essere un pipistrello?”

Eccolo qua in estrema sintesi: «Non serve cercare di immaginare di avere sulle braccia un'ampia membrana che ci consente di svolazzare qua e là all'alba e al tramonto per acchiappare insetti con la bocca; di avere una vista molto debole e di percepire il mondo circostante mediante un sistema di segnali sonori ad alta frequenza riflessi dalle cose; e di passare la giornata appesi per i piedi, a testa in giù, in una soffitta. Se anche riesco a immaginarmi tutto ciò (e non mi è molto facile), ne ricavo solo che cosa proverei io a comportarmi come un pipistrello. Ma non è questo il problema: io voglio sapere che cosa prova un pipistrello a essere un pipistrello. Ma se cerco di figurarmelo, mi trovo ingabbiato entro le risorse della mia mente, e queste risorse non sono all'altezza dell'impresa».

Cosa voglio dire con l’esempio di Nagel? Che noi potremo solo pensare, in base alla nostra coscienza soggettiva cosa prova un suicida ad essere un suicida, ma sarà sempre e ad ogni modo, un nostro punto di vista. Quello che ci sfuggirà sempre è il punto di vista individuale del suicida.

Quindi, eviterei banalizzazioni e generalizzazioni, poiché il magma interiore che scorre nella mente di un aspirante suicida – mancando il presupposto di una conoscenza oggettiva della sua coscienza - non potremo mai conoscerlo del tutto. Il silenzio solenne è l'unico atteggiamento possibile per non oltraggiare la memoria di chi ha compiuto il gesto e il mistero del gesto medesimo, che in quanto mistero non potrà mai essere dis-velato.

Io piango mio figlio, come il vecchio Priamo pianse le spoglie di Ettore, un genitore, infatti, non dovrebbe mai sopravvivere ai propri figli. Lo piango di lacrime dal sapore del sangue versato dal mio povero ragazzo sul suolo della Facoltà di Lettere, per protestare contro coloro che gli stavano rubando i sogni.

E un detto attribuito a Jim Morrison, ci ammonisce: "Se vuoi uccidere un uomo devi privarlo del suo sogno più bello".

Lo Spazio   "Generazione Norman"  dovrà quindi essere un luogo simbolico, il senso della lotta di una intera generazione di precari e giovani brillanti, un luogo simbolico di legalità e meritocrazia. Ecco il senso solenne di quella Targa che verrà scoperta il 4 maggio. Che vi siano milioni di Norman per qualità, serietà, partecipazione civile e morale, capacità nello studio ed etica del lavoro, ma che nessun genitore debba più piangere il proprio figlio a causa di un sistema autoreferenziale e familistico che è il mandante morale delle frustrazioni di una intera generazione.

Claudio Zarcone

Commenti

  1. Davanti alla parole cosi' intense di un padre posso solo dire che oggi anche io idealmente sono con Lei davanti quella targa a rendere omaggio a uno dei tanti giovani che questa società ha deluso profondamente...! egidio proietti

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  2. L'analisi del sig. Zarcone non fa una piega. Nel Paese dell' inaridimento delle coscienze e dello spirito critico, dell'annichilimento della volontà di "cercare", di "conoscere", di "comprendere", dell'avanzamento del vuoto, del "nulla" (come nel romanzo di Ende, La storia infinita) è facile per un animo nobile sentirsi soffocare, come accadrebbe ad un claustrofobico bloccato in ascensore. A Lei e la sua famiglia va tutta la mia comprensione e per suo figlio, che io immagino come un coraggioso guerriero,il più coraggioso tra i coraggiosi, profonda stima e immenso rispetto.
    Viviana Cacciatori, generazione Norman!

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  3. Grande questo papà, solo da un uomo così poteva nascere uno spirito libero come Norman.
    Maria

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