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Anagni. Marangoni. Mi ami? Ma quanto mi ami?

[foto di Paolo Carnevale]
La sala conferenze della Marangoni di Anagni è molto confortevole. Poltrone morbide nelle quali puoi rischiare di sprofondare e, magari, addormentarti. L'ho sperimentato personalmente proprio ieri. In occasione della conferenza stampa che l'azienda ha organizzato in mattinata. Un'importante occasione per capire il punto di vista industriale dopo gli ultimi avvenimenti locali, culminati in una denuncia da parte del Corpo Forestale dello Stato. Ed importante anche per approfittare della cortesia Marangoni. Non negherò infatti la bontà dei pasticcini offerti nel rinfresco conclusivo.
Stavolta la Marangoni ha pensato di fare le cose un po' in grande. Ed ha inviato qui ad Anagni niente poco di meno che il suo amministratore delegato, Massimo De Alessandri, che nella foto è il secondo da destra, con gli occhiali e le mani giunte.

In occasione di una circostanza del genere due sono le cose davvero importanti di cui occorrerebbe rendere conto. La prima riguarda cosa l'azienda ha detto. La seconda invece cosa l'azienda non ha detto. Decisamente più interessante.

Comincerò dalle parole esplicite, ovviamente. Niente di sorprendente, beninteso. A fronte della denuncia per «emissione di sostanze pericolose nell’atmosfera», come riportato nel comunicato stampa di una ventina di giorni fa del Corpo Forestale dello Stato,  De Alessandri ha risposto prima con l'orgoglio: «non abbiamo mai rubato nè inquinato, in 35 anni di attività nessun procedimento contro di noi».  Quindi con l'incredulità: «chissà perchè gli inquinatori siamo noi. In questi ultimi 12 mesi abbiamo subito 1 controllo a settimana: così non si può lavorare». Quindi ha lanciato il suo monito finale: «a questo gioco dell'oca noi non ci stiamo».

La faccenda del gioco dell'oca, in effetti, lì per lì ha lasciato perplesso anche me. Non riuscivo a collocarlo nel quadro generale. Era una metafora, certo, ma di cosa? Per fortuna lo stesso amministratore delegato, in seguito, l'ha spiegata. Il ragionamento, più o meno, è il seguente: se tu fai un controllo oggi e non trovi nulla di anomalo, perchè poi vieni pure la settimana dopo a fare lo stesso, identico controllo? Speri di trovare una settimana dopo quello che non hai trovato oggi? Dopo che non hai mai trovato nulla? Ogni settimana siamo daccapo. Si ricomincia tutto da zero. Proprio come il gioco dell'oca, che ti riporta indietro al punto di partenza.

Il senso di tutta la conferenza stampa, coi classici pezzi grossi, è dettato dallo stesso De Alessandri in questo modo: si tratta di una «denuncia molto aperta». E che cosa sarebbe venuto a denunciare, l'amministratore delegato della Marangoni, quaggiù da noi? Una «particolare volontà», una «ostilità locale». Lo sconcerto dipenderebbe dal fatto che tanti, ovunque, producono e smaltiscono pneumatici, ma solo qui ad Anagni, contro la Marangoni, ci sarebbe questo atteggiamento ostile della popolazione e della città. Solo qui si sentirebbero le puzze. Quest'ultima considerazione accompagnata da regolari sorrisini commiserevoli d'ordinanza.

E poi il messaggio finale. «Vogliamo capire se il territorio ci ama. Se il territorio non ci ama, dovremo inserire tale elemento nelle nostre valutazioni».  Frase direttamente collegabile a quest'altra: «Un altro imprenditore avrebbe già gettato la spugna».

Stante questo punto di vista, non sorprende affatto che tutte le rappresentanze sindacali, presentissime alla conferenza stampa, abbiano sottolineato lo stesso, identico concetto. Usando abbondantemente gli stessi termini che, in altre imbarazzanti circostanze, noi italiani siamo stati abituati a sentir provenire da colui che considera la magistratura un cancro della società. I sindacalisti, infatti, hanno parlato di «stillicidio», «accanimento», «persecuzione». Termini che hanno persino ampliato in un documento distribuito durante la conferenza, e sottoscritto da tutte le segreterie provinciali. In esso l'accanimento diventa «sistematico» e gli attacchi «continui».

Questo è quanto, in soldoni. Ah, no. Quasi dimenticavo. Alla conferenza stampa ha partecipato anche un sonnacchioso Marcello Pigliacelli, presidente Confindustria di Frosinone. Il quale si è animato solo per lanciare un messaggio inquietante. Quando, di fronte alla «denuncia molto aperta» di De Alessandri, ha precisato la natura delle sue preoccupazioni: «Perchè, quando c'è qualcosa che non va, vengono a controllare te?».

Insomma. L'essenziale di quanto avvenuto sta tutto qui. E siete in grado di farvene un'idea abbastanza precisa. Concludo la parte ufficiale sottolineando che c'è stata una piccolissima parentesi pure sul car-fluff. Che comunque non rientrava ufficialmente nell'ambito della conferenza stampa. Argomento, però, sul quale la Marangoni ha pensato bene di non farsi trovare impreparata mandando in prima linea Roberto Tamma, colui che ha firmato il protocollo VIA della sperimentazione dell'inceneritore col ministro Matteoli. Evito accuratamente di entrare nel merito del suo intervento. Sia perchè è stato solo un assaggino. Sia perchè, essendo in corso un contenzioso legale importante sulla questione, è bene mantenere un meditato silenzio sulle strategie che saranno sviluppate nelle sedi opportune. Vi accenno solo che il Tamma ha parlato, a proposito dell'impianto d'incenerimento, di «orgoglio tecnologico» e di «livello estremamente sofisticato». E concludendo che esso è  «il miglior impianto esistente».

La conferenza stampa, dunque, non ha detto cose particolarmente rivoluzionarie, ma a mio parere è possibile darne comunque una lettura un pochino più interessante. Basta grattare un po' la superficie. Potremmo cominciare dal fatto che, a questo incontro, è stato mandato l'amministratore delegato. Una presenza così gerarchicamente alta può significare molte cose. Ad esempio può significare che l'azienda sia rimasta particolarmente colpita dalla denuncia del Corpo Forestale dello Stato. E che, al di là della scontata minimizzazione da contratto, il colpo sia stato accusato per intero. Ma è evidente che non si può mandare un amministratore delegato a dire le stesse cose che potrebbe dire anche qualche altro dirigente. Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare, come dicevano i Blues Brothers, e dunque si tratta di capire non solo che cosa il De Alessandri è venuto a dirci. Ma, sopratutto, che cosa è venuto a non dirci.

Sicuramente è venuto a dirci che, se dovessero scoprire che la città non li ama, potrebbero decidere di andarsene. A domanda esplicita l'amministratore delegato non ha dato un'indicazione precisa, ma a molti è parso implicitamente certo il percorso dialettico del suo discorso. Fateci lavorare, avrebbe in pratica ammonito. Lasciate lavorare in santa pace un'industria che paga 18 milioni di stipendi mensili (è stato detto proprio così). Smettetela di venirci a fare le pulci, perchè potremmo decidere di mollare tutto.

Il problema di fondo, però, è che la strategia della Marangoni non è mai apparsa tanto ambigua come in questa circostanza. Perchè durante tutto l'incontro non sono riuscito a capire bene se l'azienda si stava difendendo oppure, come nella migliore strategia difensiva, stava attaccando.

Perchè mai come questa volta si partiva da un dato certo. Esterno alla città ostile. Un apparato dello stato l'ha proprio denunciata, la Marangoni. Ed ha usato parole dal significato inequivocabile. E dunque. Di fronte ad un documento tanto preciso, occorreva una contromossa altrettanto precisa. Se la Marangoni si ritiene vittima di un'ingiustizia, e ritiene di essere assolutamente innocente, perchè non controbattere con argomenti magari un po' noiosi, ma opportuni, a quella denuncia? Avrebbero potuto, chessò, sciorinare un po' di dati. Mostrare grafici di sostanze chimiche e di livelli d'inquinamento automobilistico. Insomma. Avrebbero potuto stupirci coi famigerati effetti speciali.

Ed invece, pensate un po'? Il De Alessandri la sua bella presentazione l'ha mostrata. Ma in essa non c'è stato assolutamente nulla che riguardasse l'ambiente. L'inquinamento. Le sostanze. La compatibilità. L'ecologia. Una risposta forte a quella forte denuncia. Macchè. Ha preferito illustrare 12 bellissime diapositive a colori, intitolate «Situazione aziendale con riferimento alle vicende ambientali», ma nelle quali ha parlato solo di investimenti. Di siti produttivi nel mondo. Di  «production plant & commercial presence». Di ripartizione del fatturato ed, addirittura, della storia dell'azienda a partire dalle lontane origini, datate 1950.

Il signor De Alessandri, insomma, ha fatto finta di dimenticare che tutti noialtri eravamo lì a quell'incontro per sentire la loro risposta ad un'unica domanda. Quella contenuta in un comunicato stampa nel quale si denuncia l'azienda per «emissione di sostanze pericolose nell’atmosfera». A questo occorreva rispondere. In modo esplicito. Diretto. Brutale.

Invece. La difesa dell'azienda s'è soffermata sui denari degli investimenti. Sul core business industriale. Sui 500 lavoratori più altri 300 dall'indotto. E poi s'è trastullata sul delineamento di un profilo da vittima. Vittima dei controlli. Vittima della politica. Vittima della città. Vittima delle malelingue. Questa difesa ha dato l'impressione di essere rimasta troppo in alto rispetto alla realtà. Quasi di averla voluta scansare, la sporca realtà. E, quando finalmente ha cercato di scendere nello specifico, è sembrata decisamente inadeguata. A che serve, infatti, mostrare l'ultra certificazione EMAS di azienda ambientalmente compatibile, se poi sulla testa ci si ritrova una denuncia del genere?

Per non parlare, poi, dell'atto materiale della denuncia. Nella conferenza stampa il responsabile del sito anagnino, Gerardo Magale, ha ribadito due circostanze davvero incredibili. La prima riguarda l'atto. Ossia il documento. Magale ha infatti affermato che la denuncia, ancora, non è giunta materialmente all'azienda. Insomma. Esiste il comunicato stampa della denuncia, ma alla Marangoni questa non sarebbe ancora stata notificata. La seconda riguarda le circostanze ambientali nelle quali la denuncia sarebbe nata. Perchè Magale ha chiarito che gli agenti della forestale che fecero il sopralluogo nell'azienda furono accompagnati da lui personalmente durante tutta l'ispezione. E la sua testimonianza nega decisamente che alcuno si sia sentito male, come invece riportato nel comunicato stampa della stessa forestale.

Ebbene. Di fronte ad una divergenza così grave ed insanabile dei punti di vista, solo un giudice potrebbe dire l'ultima parola. Ma alla domanda se l'azienda ha provveduto oppure intende provvedere ad una controdenuncia, l'amministratore delegato ha risposto: «noi facciamo altro; facciamo un altro lavoro». A me pare che, qualsiasi lavoro si faccia, nel caso in cui qualcuno muovesse accuse ritenute tanto infondate sulla base di circostanze ritenute tanto fantasiose, non bisognerebbe far passare neppure cinque minuti per correre dal giudice.

Tanto più che lo stesso De Alessandri, in un'altra circostanza, ha mostrato una certa spietatezza. A proposito della famosa schiuma bianca, infatti, rispetto alla quale la Marangoni ha ribadito la sua assoluta estraneità, accusando invece gli allacci abusivi compiuti da altri alle sue tubature, l'amministratore delegato ha rimproverato Magale. Perchè, in pratica, non ha provveduto a chiudere immediatamente e senza tanti fronzoli quegli allacci abusivi. Compiuti su una proprietà dell'azienda, per giunta. Di fronte alle resistenze di Magale, che ha opposto motivi di opportunità nel caso si trattasse di abitazioni private, De Alessandri ha insistito invece sull'assoluta necessità di chiudere immediatamente quegli allacci, senza se e senza ma.

Allora. Perchè tanta (legittima) intransigenza nei confronti degli allacci abusivi. E tanta (esagerata) condiscendenza, invece, nei confronti di chi ha mosso accuse ritenute infamanti e non veritiere, supportate da eventi ritenuti non essersi mai verificati?

Un annetto fa, in un'altra occasione, il direttore Magale ebbe a definire la propria azienda «asburgica». Personalmente continuo a pensare che, se proprio voleva farle un complimento, avrebbe potuto scegliere di meglio. Ma, comunque, uno che gli Asburgo ha conosciuto, servito ed esaltato, con il suo lavoro, è stato il famoso principe di Metternich. Il quale, però, è stato innanzitutto un eccellente stratega. Grande diplomatico e grande militare. Insomma. Uno che le idee le ha sempre avute molto chiare.

Ecco. Forse, allora, la conferenza stampa di ieri ha dimostrato che all'asburgica Marangoni manca, in effetti, proprio un suo Metternich. Perchè è stato bello sentir parlare di amore e di oche, in quella sala. Ma siamo tutti sufficientemente vaccinati per sapere che un'azienda non insegue il romanticismo. Ma solo il business.

«Si tratta solo di affari, baby». Tutto sta a capire a vantaggio di chi. [Ave]

Commenti

  1. Ho letto con molta attenzione l'articolo del Prof. MEAZZA e sinceramente mi sono perso perchè fin dall'inizio mi ronzava in testa una vocina che mi ripeteva "...faranno un Referendum tra i lavoratori......" e si penso sinceramente questo anche perchè sarebbe l'unico modo per testare il grado di AMORE della città per l'azienda.
    Andando avanti nella lettura però mi veniva in mente una considerazione che man mano prendeva forma nella mia testa ossia il fatto che ormai sono tanti anni che tutti noi lavoratori, in generale, siamo schiavi di un ricatto perchè qui ci mettono da sempre davanti alla scelta " Lavoro o ipotesi ideologiche?".
    Le Industrie sono arrivate in nome di un progresso che doveva portare ricchezza e strutture, per decenni ci hanno promesso un futuro nel nome dell'industrializzazione, ci hanno fatto credere che i nostri figli avrebbero vissuto in un mondo migliore e che tutto fosse lecito anche non rispettare l'ambiente tanto oggi/domani tutto sarebbe stato risolto e poi controllato.Eccoci qui dopo 40 anni di progresso senza lavoro, senza soldi e senza futuro ma soprattutto con un presente marcio ed inquinato, le nostre terre non possono più garantirci una sana alimentazione, la nostra acqua è inquinata dal Piombo ed il nostro cibo dalla Diossina.
    Ecco da qui bisognerebbe ripartire. Mai più nessun lavoratore sotto il peso della pressione morale, con la minaccia di perdere il posto di lavoro. Che forse, in fondo, non sarebbe la cosa più grave che ci possa accadere.
    N.Lauretti

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  2. Sono un lavoratore della Marangoni di Anagni. Nella vita con il mio diploma avrei sperato di fare qualche altra cosa. Ormai mi sono adattato e spero di andare in pensione lavorando qui. Mi sono molto meravigliato del Sindaco, che ho pure votato ma che non voterò mai più, che sembra non vedere l'ora di chiudere la fabbrica ed anche di Lauretti che afferma che perdere il lavoro non sarebbe la cosa più grave che ci possa accadere. Sembrano daccordo pur essendo su sponde opposte. Ma vi sembra normale augurarsi che chiuda una fabbrica che da lavoro ad un migliaio di persone? Non è che siete un pò fuori di testa? Io spero che non accada ed anzi sono impaurito solo a pensarci, e credo che gli anagnini, quelli seri ed onesti la pensino come me. Se poi il sindaco conosce qualcosa che noi non sappiamo, o ha litigato con i dirigenti per qualche motivo che non conosciamo, dicesse una volta per tutte la verità in maniera che tutti insieme possiamo finirla con questa storia che sta facendo ridere i polli anche quelli alla diossina che Letizia e Mimmo [...]. Le notizie che noi abbiamo dal sindacato che l'Arpa non ha trovato nessun inquinamento da diossina nella nostra fabbrica.

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