Abbiamo chiesto a Valerio Ascenzi di rispondere a tre, semplicissime, domande: «Il PD deve scindersi?», «Se ciò avvenisse, tu da che parte staresti?» ed, in definitiva: «Qual è il PD che vorresti?». E lo abbiamo chiesto a lui per tre, semplicissimi, motivi: Valerio è un amico, è una persona intelligente, ed è una persona che "vuole bene" alla sinistra. A queste sue virtù dovremo aggiungerne almeno una quarta: la temerarietà. Perchè, ci credereste? Valerio ha avuto il coraggio di provare a rispondere davvero a quelle domande che stanno facendo tremare i polsi a tanti. E poichè a noi piacciono immensamente i temerari, sopratutto quelli delle idee e delle proposte, vi invitiamo a leggere con attenzione le parole di Valerio. Chissà che non si rivelino profetiche?
Scissione o no nel PD? Il Pd così com’è, nonostante conservi una certa
organizzazione, non è il partito che volevamo nel 2007, quando grazie a
Veltroni e Fassino uscimmo con Gavino Angius per tentare nuove esperienze nel campo
del Socialismo Europeo (francamente anche il socialismo europeo, con certi
personaggi alla guida, ha mostrato i suoi limiti) non è il partito che ancora
cerchiamo. Siamo in molti oggi a ritenerci orfani di un partito, in Italia, che
sia schierato nel campo del socialismo e del comunismo. Della sinistra
autentica schierata dalla parte degli ultimi. Avevamo i Democratici di
Sinistra, avevamo l’Ulivo e le alleanze con formazioni di sinistra. Nessuno ad
oggi ha occupato quello spazio politico. L’organizzazione è fatta comunque di
anime, di uomini e donne: questo Pd ha perso una parte consistente della base,
personalità importanti, persone che avrebbero potuto dare un contributo serio e
concreto alla discussione politica e portare idee per le soluzioni. Questo non
è neanche più il partito che era agli inizi con Veltroni, ma è quel che
Veltroni voleva: ovvero una nuova “balena bianca” neanche in grado di guardare
a sinistra solo culturalmente. Il Pd non ha neanche il retaggio sbiadito della
cultura della sinistra italia: nelle politiche propone lo stesso copione
che Berlusconi ci ha messo dinanzi per anni: ossia politiche neoliberiste
completamente fuori tempo e fuori luogo. I risultati del referendum confermativo
parlano chiaro, gli esiti dei referendum sul lavoro daranno ulteriori segnali.
Stando così il Pd dovrebbe scindersi. Alcuni ex Ds e alcuni ex
Margherita, messi insieme, sembrano soffrire di quella che io chiamo “estetica
della ragione… propria”, nel senso che la ragione se la fanno per conto loro: non
fanno mai passi indietro, non fanno mai autoanalisi critica e seria, si autoconvincono
che le cose stiano andando per il migliore dei modi, che le politiche proposte
siano le più all’avanguardia (si guardi la buona - si fa per dire - scuola che
ancora fa danni - le deleghe alla legge sono peggio dell’impianto normativo
inziale – o il job’s act, che invece di produrre occupazione ha finito per
precarizzare ulteriormente il lavoro). Secondo
questi politicanti (li chiamo così perché è difficile definirli in altro modo)
va tutto bene, se ne autoconvincono anche i militanti, manco venissero pagati
per affermare certe cose, il guaio è che poi però vorrebbero convincere quelli
che con la realtà ci fanno i conti tutti i giorni. Battaglia persa convincere
noi che siamo sulla sponda della realtà, difficile convincere chi sta nel Pd e
sembra stare su un altro pianeta. E penso che questo muro contro muro ci sia a
tutti i livelli: nazionale, regionale, provinciale, locale.
È quello che chiamo
“berlusconismo di ritorno”: a forza di essere esposti alle politiche
berlusconiane per oltre vent’anni, anche la sinistra è stata intaccata da certe
dinamiche. Quindi il Pd non solo dovrebbe dividersi, ma dovrebbe disintegrarsi a
causa delle politiche senza senso portate avanti finora da Renzi.
L’idea di Veltroni era quella del partito liquido, il partito che ha
pochi legami con una base, che si rivolge direttamente all’elettorato. In un
certo senso ci sono riusciti, eliminando la base, ma non hanno calcolato che la
base, insieme si è portata via anche gran parte dell’elettorato. Non è un
partito: è un grande baraccone che riaccende i riflettori quando ci sono le
elezioni o i congressi, eventi questi in cui si parla di tutto tranne che di
intervenire sulla società.
Se la situazione continua così, è giusto che ci sia una scissione.
Parlare di politica, di welfare, di scuola, di lavoro e cercare efficienti
soluzioni, non è da gufi, o da sfigati, ma dovrebbe essere lo scopo di
qualsiasi tipo di organizzazione partitica. Stare in mezzo alla gente, e non in
un palazzo, è il compito della politica. Gli anni 70 ci hanno lasciato in
eredità le immagini di Berlinguer davanti alla guida di una colonna di operai
in sciopero, gli ultimi anni ci lasciano le immagini di Orfini quasi linciato
al mercato di Porta Portese durante l’ultima campagna per le amministrative
nella Capitale. Si tratta di un partito ormai in mano a uomini e donne con
competenze limitatissime, che si sono semplicemente sostituiti ad un vecchio
apparato. Parlano di incompetenze nel Movimento 5 Stelle, ma loro non sono da
meno. Se penso ai “vecchi” (Angius, Mussi, D’Alema) dico che almeno loro
appartenevano a quella generazione di politici che sapevano osservare e
interpretare i cambiamenti della società. Forse non erano abili a trovare
sempre le soluzioni: ma Renzi in tre anni non è che ne abbia trovate molte. Anzi:
avrebbe dovuto prendere esempio dall’immobilismo di Berlusconi, avrebbe fatto
meno danni, avrebbe forse governato di più.
Sinceramente preferivo i Democratici di Sinistra, partito di cui ad
Anagni sono stato l’ultimo segretario, con tutti i difetti che questo partito
aveva: almeno avevamo una collocazione precisa in Europa e in Italia. Se il Pd fosse veramente l’evoluzione dei Ds,
non sarebbe scivolato su politiche di destra. Ad oggi sono convinto sostenitore
della scissione: potrei cambiare idea nel caso si riuscisse a spostare l’asse delle
politiche a sinistra. Ci abbiamo già provato, con Bersani, ma il populismo
renzista ha avuto la meglio, a dimostrazione che il matrimonio all’italiana con
la Margherita è fallito.
Non credo sia il caso di parlare di scissioni a partire dagli uomini,
ma dalle idee… che sia D’Alema o Bersani, non penso che seguirei mai un uomo.
Seguirei una proposta politica a prescindere da chi se ne fa promotore.
Se ci fosse una scissione, non credo si dovrebbe fare un nuovo Pd, mi
rendo conto che probabilmente nessuno vorrebbe tornare al vecchio partito, i
Ds, anche se a mio avviso la strada sarebbe percorribilissima; comunque il
partito in cui starei dovrebbe essere un partito radicato sul territorio, ma a
partire dalle politiche proposte sui diversi territori. Io, comunque, potrei sostenere
un partito di tipo socialista democratico, o anche comunista, un partito in
grado di riscoprire Gramsci (come sono stati capaci i fondatori di Podemos in
Spagna) e Berlinguer, ma non a chiacchiere. Sosterrei e potrei anche tornare ad
impegnarmi in un partito in grado di rioccupare quello spazio politico lasciato
libero dai Ds nel 2007, mi piacerebbe fosse una vera evoluzione di quell’idea
di partito, con persone in grado di proporre soluzioni concrete per il contesto
sociale in cui viviamo oggi. A pensarci bene i Ds del 2007, con i dirigenti che
c’erano, erano un partito imborghesito e forse anche questo ha contribuito alla
sfortunata nascita del Pd.
[Valerio Ascenzi]
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