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Ambrosoli. Un eroe italiano. Qualunque cosa succeda

Giorgio Ambrosoli
Tra le tante vergogne che questo paese barbaro manda giù quotidianamente, ieri ce n'è stata una che riguarda la nostra storia. Ed uno di quegli eroi silenziosi che hanno consapevolmente accettato il sacrificio per il bene di questo paese, che non li ha però mai davvero meritati.
Sono molto orgoglioso di potervi proporre, sulla vicenda, un intervento di grande spessore di Paolo Carnevale, che ringrazio di cuore per aver accettato l'invito.
Per quello che può valere, sottoscrivo incondizionatamente le parole di Paolo. [Ave]


I fatti. Va in onda una puntata di “La Storia siamo noi”, in cui si parla di vecchie vicende dell’Italia degli anni ’70. Anni bui, si dice. Ma anche anni in cui abbiamo registrato la presenza di eroi più o meno senza nome. Che hanno manifestato la propria grandezza con la forza semplice di chi fa il proprio dovere solo perché è giusto farlo. Qualunque cosa possa accadere.
Nella puntata del programma di Sindona, e  di Giorgio Ambrosoli. Commissario liquidatore della Banca privata Italiana che, per aver fatto il proprio dovere, verrà ucciso l’11 luglio del 1979 a colpi di pistola. Quelli da bere insomma. Tra i protagonisti della trasmissione c’è Giulio Andreotti. Non esattamente imparziale all’epoca, visto che come Presidente del Consiglio parteggiò furiosamente per Sindona (morto in carcere per un caffè avvelenato sarà il caso di ricordarlo, ed uomo dalle chiacchierate amicizie), fin a definirlo “salvatore della lira”. Sponsorizzando il piano di salvataggio della Banca che avrebbe fatto pagare, caso mai fosse stato approvato, ai soliti cittadini le spese del crack. Ma quel piano venne bocciato. Proprio grazie ad Ambrosoli. Che fece la fine di cui abbiamo detto.
Bene, secondo Andreotti, Ambrosoli “è una persona che in termini romaneschi se l'andava cercando”, riportano le cronache. Frase che ha come si poteva immaginare scatenato una ridda di polemiche. A partire dal commento del figlio di Giorgio, Umberto, autore dello splendido “Qualunque cosa succeda” (Sironi Editore) dedicato al padre. Giorgio ha detto di Andreotti “è perfettamente coerente con la propria storia, con il processo di Palermo, con il processo per l'omicidio di mio padre. Ciascuno, con questa frase, potrà arricchire il proprio giudizio su quella storia, su quegli anni e sui suoi protagonisti. Per il resto, è superflua qualsiasi altra considerazione". Veltroni su Face book ha fatto sapere che "Per chi volesse partecipare della nostalgia per i 'bei tempi' della prima Repubblica, segnalo l'incredibile dichiarazione di Andreotti secondo il quale Ambrosoli, ucciso da un killer su mandato di Sindona, 'se l'é cercata'. Se non si ha voglia di futuro, il passato ritorna". Ogni tanto anche a Walter capita di dirne qualcuna giusta. Anche la maggioranza si è schierata apertamente contro il senatore a vita: “"Giorgio Ambrosoli non se l'è 'andata a cercare'. Ha ricevuto, senza sollecitarlo, un incarico professionale gravoso. Lo ha portato avanti basandosi solo sulla sua competenza e sul suo senso del dovere. Sorprende che 30 anni dopo il presidente Andreotti continui a mostrarsi più vicino a Sindona che all'avvocato Ambrosoli. Il quale, non essendosela 'cercata', certamente non ha 'tirato a campare', ma ha pagato il prezzo più alto” ha detto il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano. Alla fine lo stesso Andreotti ha fatto marcia indietro: “Sono molto dispiaciuto – ha spiegato in una nota - che una mia espressione in gergo romanesco abbia causato un grave fraintendimento sulle mie valutazioni delle tragiche circostanze della morte del dottor Ambrosoli. Intendevo fare riferimento ai gravi rischi ai quali il dottor Ambrosoli si era consapevolmente esposto con il difficile incarico assunto".

Ora. Io sono molto arrabbiato. Di più. Sono incazzato. Non tanto per quello che ha detto Andreotti. Ma per il fatto che pochi sappiano chi è stato Ambrosoli. Perché la gravità delle parole del senatore si comprende meglio solo in un modo. Facendo capire chi era Ambrosoli stesso.
Per farlo, non uso parole mie. Ma quelle che Ambrosoli stesso scrisse alla moglie Anna la sera del 25 febbraio 1975. Ambrosoli ha appena terminato il suo lavoro di liquidatore.  E traccia un bilancio, in una lettera che è di fatto il suo testamento morale.

“Non ho timori per me.. è indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese. Ricordi le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito.  Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell’interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria.  Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo.  Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [...] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro [...]. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi”.

Dire di più non sarebbe solo sbagliato. Sarebbe retorico. E renderebbe un servizio sbagliato alla memoria di un uomo giusto.

Paolo Carnevale

Commenti

  1. La smentita del senatore è peggio della sua prima dichiarazione e dà il senso pieno dell'uomo che è stato e continua ad essere: il tipico italiano che non se le cerca. Del resto ho ancora vive le immagini del processo di piazza Fontana in cui il senatore, nel pieno della sua potenza politica, rispondeva con una sfilza infinita di non ricordo alla corte che lo interrogava; salvo poi a scrivere una serie altrettanto infinita di minuzie su ogni tiramento del più insignificante uomo politico della prima repubblica.
    Sarebbe bello che il senatore chiudesse la polemica per una volta con un atto di dignità rinunciando alla carica di Senatore a vita della Repubblica Italiana e devolvendo la prebenda ad un fondo di aiuto a tutti quei piccoli risparmiatori spennati dai capitalisti all'italiana (Tanzi, Cragnotti ecc.)
    Alessandro Compagno

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