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Capitalismo. Le briciole sono finite

Le ultime vicende politico/economiche hanno stabilito in modo certo un dato incontrovertibile. Uno spettro si aggira per l'Europa. E per l'America. E per il mondo intero. Si chiama capitalismo. Da una parte all'altra dell'oceano, infatti, masse consistenti di individui, giovani ma non solo, hanno cominciato ad organizzarsi al grido di «abbasso il capitalismo». Ed hanno deciso di manifestare il loro disprezzo nei confronti di tutti i più famosi e ridondanti simboli propri del capitalismo. Banche, Istituzioni finanziarie. Borse. L'avevamo tanto invocata, la rivoluzione, ed ora che ce la ritroviamo davanti stiamo rischiando di farcela scoppiare in mano. Perchè non sappiamo come maneggiarla.

Ciò che sta accadendo in tutto il mondo economicamente avanzato meriterebbe una riflessione ben diversa rispetto alle deliranti cerimonie delle fiducie chieste e votate. Alle patetiche nomine di sottosegretari per pagare dazi politici. Alle aberranti prime pagine dei giornali sfascioleghisti sui presunti cocchetti della sinistra. Avremmo bisogno di una classe politica ed istituzionale capace di avviare un'analisi profonda ed attenta della svolta che sta avvenendo nel mondo. Nel capitalismo. Insomma mai come adesso avremmo bisogno di guide responsabili e capaci, ma sopratutto di fermarci e cercare di capire.

Perchè ciò che sta avvenendo, grosso modo, potrebbe cominciare ad essere definito nel seguente modo. In pratica, il sistema capitalistico sta implodendo. La fine del comunismo ha tolto l'ultimo pannicello che ancora poteva mascherarne le crepe e l'assurdità. Senza più alcun ostacolo. Senza nemici nè oppositori. Il capitalismo come l'abbiamo conosciuto sta velocemente correndo verso la sua autodistruzione. Ed, insieme a lui, sta trascinando tutta l'umanità. La novità non sta nel fatto che tale autodistruzione stia avvenendo. Ma che sta avvenendo ora.

D'altra parte, eravamo stati abbondantemente avvertiti. Il sistema capitalistico, per sua stessa natura, per potersi permettere di esistere, deve necessariamente creare disparità. Esse sono alla base stessa del meccanismo. Potremmo partire da quelle che dividono il nord dal sud del mondo, o se preferite il primo dal terzo/quarto. Una percentuale variabile tra il 20 ed il 30% della popolazione mondiale che consuma il 70-80% delle risorse disponibili. Un abuso indicibile e mostruoso che ha significato, ad esempio per l'Africa, povertà, morte, sfruttamento, guerre, prevaricazioni, torture, ingiustizie, arretramento culturale e sottosviluppo. Per l'America, invece, ha significato la più impetuosa e travolgente corsa verso l'arricchimento ed il benessere mai conosciuto nella storia dell'uomo.

Così, mentre da una parte abbiamo una porzione di umanità che fa una fila di ore per spendere 500 dollari ed accaparrarsi l'ultima novità tecnologica. Lasciata in eredità da quello che è stato definito un visionario, ma che in fondo è stato sopratutto un formidabile ingranaggio nella macchina capitalistica. Da un'altra parte di questo stesso globo abbiamo, nello stesso momento, le stesse massacranti ed umilianti file. Fatte dalle donne di uno sperduto villaggio desertico, con piccole brocche in testa, che sono venute, scalze, per chilometri, a prendersi un po' d'acqua da portare a tutta la famiglia.

Sembra impossibile che lo siano. Eppure l'una e l'altra umanità fanno parte dello stesso globo. A renderle così inconciliabili. Così mostruosamente lontane e quasi aliene, altri non è che il sistema capitalistico. Capace di offrire semplicemente il successo, il benessere, la ricchezza a chi si dimostri sufficientemente coraggioso da tentare. Ma che, naturalmente, come il famoso gioco delle tre carte, o se preferite proprio come la classica coperta corta, ha un costo. Un prezzo estremamente preciso da pagare. Il tuo successo può essere garantito solo dal fallimento di altri cinque. I quali saranno condannati eternamente a sostenere i costi stessi della tua felicità, pagandoli con la propria tragedia esistenziale, economica, culturale.

Il nord che si mangia il sud. Il padrone che si mangia l'operaio. Il banchiere che si mangia il piccolo risparmiatore. E ancora, scoperta tardiva di queste nostre ultime tragedie, i vecchi pensionati che si mangiano i giovani lavoratori. Il capitalismo, per sua natura, non può essere in grado che di creare squilibri. Qualcuno sta in alto, a godere la bellezza incommensurabile di una vita agiata e serena. Ma la sua altezza è sostenuta da una montagna di disperati che pagano il prezzo dell'altrui felicità. In termini di risorse che non possono consumare, neppure se si trovano a due passi da quel buco fetido nel quale sopravvive. In termini di opportunità di lavoro, d'istruzione, di salute, persino d'incivilimento, che non avranno mai. Perchè il capitalismo ha la forma di una torta succulenta ma ben strana. Pochi golosi si prendono grandi fette e le trangugiano con gusto. Agli affamati son negate persino le briciole, contese da innumerevoli bocche.

La rivoluzione che sta portando milioni di persone per le strade, in tutto il mondo sviluppato, nasce proprio dalla scoperta di questa acqua calda. Forse abbiamo sbagliato tutto. E fin dall'inizio. Il capitalismo sta perdendo la maschera dietro la quale ha nascosto la sua eterna ferocia. Forse questo sistema non è la risposta giusta. Forse dovremo ricominciare a cercare. A pensare. A progettare. Un'altra risposta. Un altro futuro. Un orizzonte nel quale sia possibile una reale redistribuzione delle risorse disponibili.

Il nostro mondo sopravvive facendo finta di non vedere i mostruosi squilibri ch'è stato capace di creare. Finzione che ha fatto comodo un po' a tutti, finchè ha retto l'irrazionale convinzione di poter conservare i privilegi e le assurde pretese della nostra vita quotidiana. Ma ora che si sta pericolosamente allargando il numero di coloro che non possono, e non potranno mai più, permettersi di cambiare la macchina ogni anno. Che non possono, e non potranno mai più, permettersi di fare la fila per tirar fuori 700 piccioli per l'ultimo iPad, o per il nuovo televisore 3D. Ora che addirittura sta aumentando pericolosamente il numero di coloro che un lavoro, un lavoro vero, rischiano di non averlo per l'intero corso dell'esistenza. Precari eterni nel meccanismo inceppato del capitalismo. Ora improvvisamente stiamo aprendo gli occhi.

E solo ora, finalmente, tutte le contraddizioni sembrano lampanti. Chiare ed evidenti come solo le cose semplici sanno essere. Come abbiamo potuto resistere per tanto tempo in questa pazzesca finzione? Come non accorgersi che non poteva funzionare un sistema che pretende (a parole) il risparmio, il riciclo ed il riuso, quando la sua stessa natura è consumistica, e per sopravvivere ha bisogno di un continuo, forsennato, inutile e dispersivo dissipamento delle risorse disponibili?

Ecco. Sono queste le questioni che abbiamo sul tavolo. Miliardi di varia umanità si sono stancati di reggere i nostri sprechi, e si stanno affacciando alle porte delle nostre fortezze. Abbiamo meno risorse da bruciare, e la lotta si è trasferita anche nelle nostre città. Anzi essa è diventata di livello sempre più basso. Somiglia sempre più ad una pura e semplice lotta per la sopravvivenza. Possiamo chiamare questa lotta coi nomi che vogliamo. Questione pensionistica. Lavoro precario. Sanità pubblica. Pari opportunità. Ambiente pulito. Scuola meritocratica. Ma la questione non cambia. Si tratta sempre della stessa, terribile tragedia. Varianti spicciole di un respiro ch'è diventato troppo corto, proprio come la famosa coperta.

Dovremmo sederci, idealmente, tutti quanti intorno ad un grande, immenso tavolo. E riflettere a lungo su tutto questo. Ripensare i nostri modelli di sviluppo. Il nostro tenore di vita. Il modo col quale abbiamo organizzato il nostro breve passaggio su questa terra. Lo dovremmo fare, già. Se non per noi, almeno per i nostri figli. Magari i nipoti. Per i quali il cielo non promette nulla di buono.

Ma tutte le mattine apro il giornale. Lo sfoglio velocemente sperando di trovare le cose importanti. Le parole che servono. Le idee che mi faranno capire. E non trovo altro che una montagna di inutilità che ci spingerà tutti quanti un po' più vicini al baratro. E tanta, tanta pusillanimità proprio in coloro che pure avrebbero il dovere, civile prima ancora che morale, di mettersi a ragionare insieme a noi.

Forse non leggerò mai più il giornale.

[Ave]

Commenti

  1. il capitalismo sta benissimo e ha portato sviluppo benessere democrazia e libertà in tutto il mondo, chi non l'ha abbracciato, è indietro di secoli. ciò che ha creato disagi è il giusto ingresso di paesi come la cina nel mercato e l'intervento dello stato nel mercato (es. crediti facili dati ai poveri che poi non sono riusciti più pagare i mutuoi creando disordini finanziari)
    www.maurod.ilcannocchiale.it

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  2. non è il capitalismo che crea paesi poveri, sono poveri i paesi dove non c'è il capitalismo
    www.maurod.ilcannocchiale.it

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  3. Ma di quale capitalismo parliamo? quello italiano è all'acqua di rose tant'è che il finto capitalismo ha portato l'italia con un indebitamento enorme, attraverso l'utilizzo di politiche sociali suicide. Pensionati a 40 anni, pensioni ai contadini senza versamento di contributi, migliaia di forestali senza foreste, impossibilità di licenziare nullafacenti sia pubblici che privati, costi della politica enormi con arrichimenti della casta sulle spalle dei cittadini ecc..ecc... Una società giusta deve prescindere dal modello sociale perchè abbiamo visto che i paesi più arretrati sono quelli che erano ad economia comunista dove il gusto di vivere era scomparso ed il gusto di lavorare non esisteva. Cerchiamo una via italiana per una società più giusta ma cancelliamo dalla nostra mente che possiamo essere tutti uguali. A tutti bisogna dare le stesse chance nella vita e poi chi è più in gamba deve emergere. Non c'è scelta nemmeno in natura. Del resto il nostro idolo Steve Jobs, non era forse figlio di nn?

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  4. si ma sono anche poveri i paesi sfruttati dai capitalisti stranieri che hanno abusato dei territori, dell'ignoranza e del lavoro di chi ci vive!!!! non ho letto l'articolo del prof. per mancanza di tempo... ma di questo pensiero sono assolutamente sicura!!!

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