Passa ai contenuti principali

Cicconi: «Per Fiorito condanna politica netta e senza appello»


Roberto Cicconi, consigliere SEL, mi ha inviato una nota di commento sulla vicenda Fiorito.
Ve la giro volentieri.

La bufera che ha colpito l’ex capogruppo Pdl presso la regione Lazio, on. Franco Fiorito, se da un lato per chi, come lo scrivente, da sempre convinto garantista, deve essere trattata solo per quel che concerne gli aspetti meramente politici della vicenda, essendo compito della magistratura la disamina dei fatti e l’eventuale configurazione dei reati posti in essere, non può, in ogni caso per una questione di ruoli, non essere oggetto di riflessione e approfondimento.

Approfondimento che è lungi dal voler cavalcare l’ondata di sciacallaggio che la storia ci insegna costantemente perpetrarsi nei confronti dei “potenti” che cadono, e che  il sottoscritto probabilmente non avrebbe mai fatto se non alla luce di una sentenza definitiva nei confronti di chi attualmente viene additato essere il nuovo Lusi.

Tuttavia dall’attuale ricostruzione di quanto accaduto emergono ammissioni da parte degli stessi protagonisti, e non mi riferisco solo a Franco Fiorito, che mettono in luce una “prassi” veramente disdicevole , disgustosa e palesemente  iniqua a livello sociale presso la Regione Lazio, che si estrinseca in un vero e proprio sperpero di denaro pubblico, alla faccia di chi, il contribuente medio, è chiamato a pagare salatamente il dazio alla crisi che ha duramente colpito il nostro Paese.

Una prassi che appunto raddoppiava quello che attualmente risulta essere la già più alta retribuzione che viene corrisposta ai consiglieri regionali di tutta Italia, probabilmente solo in Sicilia, regione a statuto speciale e le cui vicissitudini di bilancio sono note a tutti, di stipendio base si percepisce di più. Il tutto avallato da un ormai non più sostenibile principio di autodeterminazione delle spese di un organo che ha funzioni legislative, sulla scorta della stessa logica opera e giustifica le proprie spese ed i propri costi il Parlamento della Repubblica Italiana,  per il quale il Consiglio regionale del Lazio può autonomamente determinare, senza limiti o controlli alcuni, quello che egli stesso può spendere per le proprie esigenze “fisiologiche”.

Da questa logica perversa ha trovato legittimazione un modus operandi che ricorda i grigi e cupi periodi feudali, dove il popolo viveva di stenti ed i potenti gozzovigliavano nei loro splendidi castelli.
Ville, automobili, Resort di lusso, barche, ostriche e champagne come nel più banale cinepanettone natalizio. Il tutto mentre il nostro territorio affronta una crisi occupazionale senza precedenti ed il popolo è giustamente afflitto da un rigurgito di antipolitica e qualunquismo che si palesa nel motto “Son tutti uguali”.

Per quel che concerne il mio modesto punto di vista la condanna politica non solo di Fiorito ma di quello che risulta essere un intero sistema, è netto e senza appello. Per essersi fatto interprete, se non assoluto protagonista, di un sistema che un politico vero, gestore  della res pubblica, avrebbe stigmatizzato, condannato e combattuto.

Ma trattasi di condanna politica.

Per quel concerne gli aspetti penali della vicenda mi rimetto, nell’ambito di quel principio garantista di cui sopra, al giudizio della magistratura e mi riferisco ad un giudizio che dovrà sfociare in una sentenza e non in un giudizio sommario che sfoci nella solita grottesca gogna mediatica che tanto piace agli Italiani.

A livello locale mi sarei atteso una presa di coscienza più che una presa di distanza da parte di chi ci amministra rispetto a questa vicenda. Una presa di coscienza relativa al fatto che le dinamiche interne all’attuale amministrazione comunale sono state completamente fallimentari e che avrebbero dovuto portare alle dimissioni del Sindaco e di tutta la giunta comunale. Perché, diciamocela tutta, Fiorito è stato il garante degli equilibri interni alla maggioranza finora e questo non può essere cancellato con il disperato tentativo di riappropriazione di una presunta autonomia attraverso l’azzeramento delle deleghe ai consiglieri ed agli assessori.

Tutto questo non accadrà, e non necessito, per saperlo, della smentita di facciata di quanto affermo da parte di chi, eventualmente, vorrà replicarmi. Tuttavia ritengo sia giusto richiamare alle proprie responsabilità coloro che fino a ieri si facevano forti nel nascondersi dietro al loro deus ex machina, grande protettore dei propri “legionari politici in un amministrazione ormai monocolore”  che, ad oggi, non hanno voluto spendere una sola parola su quello che ormai è stato ribattezzato il “Secondo schiaffo di Anagni”. Personalmente credo che di schiaffi Anagni negli ultimi 11 anni ne abbia presi fin troppi e che sia giunta l’ora di smetterla di porgere l’altra guancia.

Come credo che sia arrivato il momento di riappropriarci di quella consapevolezza che ci porta ad essere depositari di una verità tanto scontata quanto ormai quasi perduta: «La Rivoluzione si fa nelle piazze con il popolo, ma il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano. Quella matita, più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un coltello.»(Paolo Borsellino).

Roberto Cicconi, SEL

Commenti

  1. una riflessione dettagliata,precisa e sopratutto giusta...

    RispondiElimina
  2. sono d'accordo con Roberto che stimo molto. G A E T A N O

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Anagni. Aspettando i nuovi barbari

Ritornare (ad Anagni) è un po' come morire

Anagni. Il NON-partito fa NON-propaganda (NON-politica)

Emanuele Mattozzi, reo confesso grillino, ha avuto la bontà di rispondere con una decina di commenti ad un articolo dell'altro giorno . E, sopratutto, ad alcuni commenti seguenti l'articolo stesso. Non ho trovato nessun altro modo per ringraziarlo del primo, vero (ed attualmente unico) discorso grillino diverso dall'insulto, che rispondergli in modo adeguato qui. Per l'occasione, ho tirato fuori dalla naftalina il faccione, come vedete. Spero ne sia valsa la pena.