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Sulcis in fundo

[foto Repubblica]
Dai e dai, ci siamo arrivati. Abbiamo finalmente trovato la madre di tutte le vertenze lavorative. Fa impressione sentire gli operai sardi che stanno lottando per il lavoro. Con assoluta e ferma dignità. Senza agitazione. Nel loro tono linguistico inconfondibilmente musicale, questi operai guardano negli occhi e dicono, semplicemente: «Non ci stancheremo». E tu li guardi e capisci che sarà proprio così. Questi lavoratori non smetteranno di chiedere quello che la nostra Costituzione mette al vertice delle proprie fondamenta: il lavoro.
 
Siamo arrivati al capolinea. Perchè questi lavoratori non faranno come hanno fatto tutti gli altri. Non aspetteranno le promesse. Non torneranno a bussare singolarmente alle porte della politica. Costoro si sono messi in piazza per avere il lavoro qui e subito. Senza SE e senza MA. Tutte le burocrazie del mondo. Tutti i meccanismi imprenditoriali. Tutte le manovre finanziarie del secolo. Non li riguardano. Costoro chiedono solo la stessa, maledetta cosa. Il lavoro. Che vogliono davvero. Nella sua forma più brutale e meccanica. Niente promesse. Niente carte. Niente incontri interlocutori. O lavoro o niente. Non esiste alternativa.

Si dice che gli asini sardi siano i migliori. Per la loro testardaggine. Perchè compiono il lavoro più duro in silenzio. Senza fiatare. Ma pretendono la ricompensa. E se non la ottengono, diventa impossibile anche solo riuscire a smuoverli d'un centimetro. Ecco. Questi lavoratori dimostrano lo stesso carattere. Semplici e diretti. Ma inflessibili ed instancabili. Testardi come può esserlo soltanto colui che non ha, ma per davvero, niente da perdere. L'ho sentito un lavoratore intervistato. «Se perdiamo il lavoro, cosa ci resta? Niente». Per questo sono così fermi. Perchè liberare le strade senza ottenere ciò per cui vi sono scesi, significherebbe, semplicemente, morire. Perdere persino la speranza.

La vertenza sarda è uno snodo di eccezionale importanza. Perchè è diventata un simbolo. Da una parte lavoratori che non si accontentano più dei ghirigori della politica. Vogliono risposte concrete. Anzi. Concretissime. Niente soluzioni tampone. Niente CIG. Niente microsovvenzioni. Solo lavoro. O non se ne andranno. Dall'altra c'è una politica che è costretta a misurarsi con la realtà. Quella più dura. Ed è obbligata a trovare una risposta concreta. Peggio. Concretissima. E deve farlo in fretta.

Perchè la politica è abituata a prendersi i suoi tempi. Anche in quei pochi, rari esempi positivi. Faremo. Provvederemo. Studieremo. Il prossimo mese. Il prossimo anno. Ma il problema è adesso. Una famiglia senza lavoro deve mangiare adesso. Si deve vestire adesso. Deve pagare le bollette adesso. Deve mandare a scuola i figli adesso. Dunque è adesso che la politica deve trovare le risposte. Tra un mese. Tra un anno. Potrebbe essere troppo tardi.

In questo meccanismo si stanno rimettendo in gioco i rapporti stessi dell'agire politico. Della mediazione politica. La gente è stanca di promesse mai mantenute. Ed è arrivata ad una sfiducia talmente profonda da non credere più neppure alle promesse che possono sembrare ragionevoli. La gente non si fida più. Ed è stanca di essere ragionevole. Perchè dobbiamo essere ragionevoli sempre noialtri poveracci? Adesso si pretende, tutto d'un fiato, quello che per decenni la politica ha disatteso. Adesso si pretende che la politica tiri le sue carte. Anche se in mano non ha neppure un asso. Non si è disposti più ad aspettare.

Sappiamo tutti, infatti, che la politica non ha il potere diretto di costruire fabbriche. Nè di (ri)aprire quelle chiuse. Sappiamo bene che la politica non ha il potere diretto di far uscire un'azienda dalla crisi, per impedirne la chiusura. Sappiamo. E lo sanno anche i lavoratori sardi. Ma adesso non si è più disposti ad essere ragionevoli, appunto. Adesso ci si mette sotto i balconi della politica pretendendo di riscattare immediatamente tutti le promesse non mantenute. Tutte le cose non fatte in decenni di lassismo e di ruberie. Tutte le parole del mondo, in questo momento, stanno a zero.

Da adesso, contano solo i fatti.

[Ave]

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